Intrappolati in una bufala: i sopravvissuti alle teorie del complotto parlano*
Di solito non facciamo ristampe. Ma questo è un caso speciale, e non faremo una ristampa classica. The Guardian ha pubblicato un articolo con questo titolo il 24 gennaio 2019, scritto – a nostro avviso in modo piuttosto magistrale – da Ed Pilkington, il Chief reporter di Giardian US’ Chief reporter.
Pilkington ricorda alcune statistiche davvero sorprendenti portate alla luce dall’Università di Cambridge alla fine di novembre 2018 (studio condotto nell’agosto 2018). Provengono da uno studio congiunto di YouGov-Cambridge (schede tecniche disponibili in fondo alla pagina collegata) che copre 9 paesi (8 paesi dell’UE + gli Stati Uniti) e un campione combinato di 11.523 intervistati.
Se da un lato vale certamente la pena di guardare in dettaglio i fogli numerici, lasciamo questo compito ai lettori e ricercatori curiosi e indagatori. I risultati mostrano che il 72% degli italiani crede in almeno una teoria del complotto, contro l’80% dei portoghesi, il 72% dei polacchi, il 76% dei francesi, il 64% degli americani, il 52% degli svedesi, il 65% dei tedeschi, l’85% degli ungheresi e il 60% degli inglesi.
Ora, torniamo a quell’articolo e perché pensiamo che sia importante che tu lo legga. Non si tratta di numeri, ma di vite umane. Si tratta di ciò che succede alle persone che cadono vittime di disinformazione e manipolazione. Se vi siete mai chiesti perché dovremmo prestare attenzione a questo fenomeno, leggete queste storie personali:
- Marcel Fontaine, falsamente accusato di essere il tiratore di Parkland, [questo è il resoconto completo delle riprese di Parkland, insieme a riferimenti e fonti].
- Lenny Pozner, preso di mira dopo aver perso suo figlio a Sandy Hook, [resoconto completo della sparatoria, a cui si fa riferimento].
- Paul Offit, molestato da attivisti contro i vaccini
- Brianna Wu, attaccata dai troll #gamergate trolls.
- James Alefantis, falsamente accusato di aver gestito un giro di pedofilia.
Vi invitiamo a leggere l’articolo completo. Possiamo pensare a pochi modi migliori, se ce ne sono, per trasmettere il pericolo e l’impatto ad ampio raggio della disinformazione sulla nostra vita.
* Il titolo appartiene all’articolo originale di The Guardian.